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Salutare, iniziare una conversazione, esprimere una propria opinione davanti a più persone, ordinare un aperitivo, sorseggiare una tazza di tè in compagnia…
Operazioni che potrebbero da molti essere considerate come banale routine, tanto quasi da non accorgersi di metterle in atto… Eppure per i soggetti che soffrono del disturbo di ansia sociale tutte queste operazioni possono comportare un notevole dispendio di energie, rimuginazioni sul modo migliore per compierle, sentimenti di inadeguatezza, atteggiamenti di evitamento che lasciano gli altri sorpresi… Insomma, una profonda sofferenza che in molti casi può portare all’isolamento totale e alla depressione.
L’ansia sociale si manifesta spesso già in età prescolare e per molti si fa pervasiva nell’adolescenza, quando la condivisione nel gruppo dei pari diviene l’esperienza fondamentale per un sano sviluppo della propria personalità. Il gruppo dei pari opera nel senso di una fusione e un livellamento dei suoi membri, ma nello stesso tempo è agitato da dinamiche relazionali volte a stabilire gerarchie e rapporti di rango che si basano su modalità spietate di selezione e classificazione dei membri e nella quali il giudizio circa il valore (calcolato alla luce delle visioni del mondo condivise) e l’importanza dei membri (valutata alla luce della capacità di affermazione intellettuale, sportiva, estetica di ognuno di loro) diviene un’arma micidiale per risolvere conflitti di potere e assegnare spazi di agibilità e visibilità relazionale.
Gli individui che soffrono di ansia sociale tendono a costruirsi delle realtà fatte a propria misura, in cui si sentono accettati e non giudicati e in cui riescono spesso a relazionarsi con sentimenti di adeguatezza. Nei rapporti preferenziali riescono a esprimere la rabbia e possono anche mostrarsi decisi, ma in contesti nuovi o in situazioni performative si sentono smarriti, spaventati, goffi, insicuri.
In contesti fortemente ansiogeni, come nel caso di un party che richiami persone estranee al gruppo di riferimento, l’ansioso sociale sperimenta un aumento interno dell’automonitoraggio (attenzione ai propri stati d’animo, a come ansie e paure possano manifestarsi all’esterno) e la sensazione fortemente disturbante di essere al centro dell’attenzione. In questo modo egli crea una sorta di equiparazione tra quello che pensa di se stesso, le proprie attivazioni emotive e quello che gli altri percepiscono, utilizzando come prova del suo fallimento sociale non tanto quello che gli altri gli dimostrano, ma le emozioni negative e il pervasivo senso di inadeguatezza che egli sperimenta nel contesto stressante.
Dr. Paolo Iervese
Psicologo Psicoterapeuta Busto Arsizio
Dr. Paolo Iervese Psicologo Psicoterapeuta
Busto Arsizio
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Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia n. 03/14493, dal 14/04/2011
Laurea In Neuroscienze Cognitive, Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva
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